Uno sguardo sul mondo, oltre che utile, è doveroso.
Solo “allargando” lo sguardo è possibile comprendere quali e quante siano le dinamiche che lo governano. Quanto stretti siano i legami tra geopolitica ed economia e le interconnessioni tra le varie aree del pianeta.
Per quanto una delle eredità del Covid sia la “de-globalizzazione”, con il rientro (reshoring) dell’attività produttiva, da parte di molte aziende, nei propri confini di origine, è chiaro “tornare indietro”, oltre che impossibile, avrebbe conseguenze devastanti.
Ormai ragionare come “singolo” Paese significa, nei fatti, avere un peso negoziale piuttosto relativo: o si è una “super-potenza” (Stati Uniti, Cina, in prospettiva India) o “unirsi” con altri Paesi è un passo obbligato: da qui, come sappiamo, nasce l’idea di Europa.
Parlare, quindi, di “piena sovranità” probabilmente è un concetto superato, come confermano le regole a cui tutti gli Stati membri UE sono assoggettati, dalle regole di bilancio alla necessità di presentare alla Commissione Europea ogni anno la Legge finanziaria per l’approvazione.
Fino a quando, però, non verrà raggiunto lo “status” di vera e propria “confederazione”, ogni Paese membro dovrà guardare con attenzione e rigore al proprio “giardinetto” (vale a dire i propri conti).
Le mutate condizioni di mercato degli ultimi 12-18 mesi stanno avendo un impatto non indifferente sulla nostra vita. Un discorso che vale per tutti i cittadini europei (e non solo europei), ma che diventa certamente più pesante per chi vive in quei Paesi che si trovano a fare i conti con risorse limitate. Ovvero per quei cittadini che hanno un reddito medio-basso, quelli maggiormente falcidiati dall’inflazione, che evidentemente non è “uguale” per tutti.
Il nostro, come noto, è un Paese che vive “a debito”, come dimostra il fatto che il nostro debito pubblico cresce, drammaticamente, anno dopo anno (ormai siamo molto vicini a € 2.800 MD). Per quest’anno, limitandoci ad osservare il medio-lungo termine, il Tesoro ha previsto emissioni totali per oltre € 320 MD, di cui, nei primi 6 mesi, sono già stati raccolti circa € 200 MD. La risposta del mercato, come confermano i numeri realizzati dall’ultimo emissione del nuovo BTP Valore (18MD raccolti, record assoluto per le emissioni rivolte al segmento “retail”), è stata assolutamente positiva, addirittura superiore alle più rosee aspettative.
Ma, come ben sappiamo, tutto ha un “prezzo”: non è, quindi, una forma di “patriottismo” (per quanto, comunque, si confermi una certa fiducia verso il proprio Paese), ma anche di “convenienza”.
In altre parole, per tenere alta “l’attenzione” degli investitori (italiani, ma non solo), il Ministero del Tesoro è costretto, mese dopo mese, ad “alzare l’asticella” (dei rendimenti). Non che gli altri Stati non lo facciano (basti pensare a quanto è successo al Bund tedesco, “sinonimo” di garanzia e solidità), ma il “peso”, per noi, è ben superiore (in termini percentuali, ma ancor di più in termini assoluti).
Nel 2021 il costo medio delle emissioni di Titoli di Stato era pari allo 0,1%. Nel 2022 abbiamo assistito ad una prima (terribile da un punto di vista percentuale) impennata, che ha portato il costo medio all’1,71%.
Percentuale raddoppiata nei primi 6 mesi di quest’anno, che ha fatto salire il costo medio al 3,51%.
In “soldoni”, la media della spesa è stata, negli ultimi anni, pari a circa € 60 MD per anno (se osserviamo il periodo 2009-2022 siamo a circa 1.000 MD spesi per interessi, media un po’ più alta in considerazione dei terribili anni 2011-2012). Quest’anno si toccheranno, come indicato nella Legge di Bilancio, i 75 MD, che diventeranno 86 MD nel 2024, 91 nel 2025, per superare in 100 MD nel 2026. Una crescita dovuta non al fatto che i tassi continueranno a salire (anzi, è opinione comune che a breve la crescita si fermerà, per cominciare, l’anno prossimo, una diminuzione) quanto al fatto che, trattandosi di emissioni per lo più a medio-lungo termine (il BTP Valore ha una durata di 4 anni, mentre per il BTP Italia si parla di 6-8 anni), l’aumento dei tassi viene “bloccato” anche per gli anni a venire.
Numeri che dicono molto. Ma forse non vengono letti da tutti allo stesso modo, se è vero che si sta ancora discutendo sul PNRR, con le rate per € 65 MD ancora ferme, e, ancor di più, sul MES, considerato alla stregua di una “tagliola” più che una struttura che può aiutare ad abbassare il costo del debito.
La seduta molto volatile di ieri a Wall Street, con gli indici negativi (appena sotto la parità il Dow Jones, più pesante – – 1,36% – il Nasdaq) non ha conseguenze, questa mattina, sui mercati asiatici.
Shanghai fa segnare un + 1,36%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng rimbalza di oltre il 2%.
in leggera controtendenza Tokyo, dove il Nikkei scende dello 0,50%.
In calo anche il Kospi a Seul, sulla falsariga di Tokyo.
Ben impostati i futures, ovunque con rialzi vicini allo 0,50%.
Segnali di ripresa per il petrolio, con il WTI che si riporta ad un passo dei $ 70 (69.97).
Gas naturale Usa a $ 2,876, in calo dello 0,76% questa mattina.
Non si muove l’oro, stabile a $ 1.935,90.
Spread sempre “bloccato” intorno ai 160 bp (160,7), per un BTP al 3,93%.
Bund al 2,31%.
Treasury Usa al 3,73%.
Periodo di “bonaccia” anche per l’€/$, sempre “ancorato” a 1,0925.
Poco mosso anche il bitcoin, a $ 30.259.
Ps: da sempre il “percepito” di un investimento in titoli tedeschi era simile al “mettere i soldi in cassaforte”. La realtà ci dice, oggi, una cosa un po’ diversa. I conti della Bundesbank, la Banca Centrale tedesca, hanno chiuso il 2022 con una perdita di circa € 1MD, costringendo, con molta probabilità, lo Stato a coprire la perdita. Perdita che, a dire il vero, riguarda solo il portafoglio titoli espresso in $Usa: se si dovessero considerare i titoli di Stato “europei” (soprattutto bund tedeschi) in “pancia” alla Banca Centrale la perdita sarebbe ben superiore, addirittura ben oltre i 100MD. in soccorso (a dire il vero, non solo della Banca tedesca, ma di un po’ tutte le Banche Centrali europee) arrivano le regole di bilancio, che prevedono la valutazione non al “valore di mercato” (mark-to market) ma, mantenendoli sino alla loro scadenza, al valor nominale, senza necessità, quindi, di svalutazione.